domenica 13 aprile 2008

Il crepuscolo di un idea

Respiro l’aria viziata della mia tana, puzza, è stanca e velenosa, migliaia dei miei respiri l’hanno resa asfissiante, ossidata, stanca, melmosa, densa e putrefatta, tuttavia lasciare il mio giaciglio notturno continua a rimanere un impresa ardua da compiere, l’obbligo della decisione comincia a farsi strada quando la radio fa partire la riproduzione del CD dei Gotham project, la revancha del tango, il ritmo lento della prima traccia lentamente riporta un flusso normale di sangue nelle vene delle mie membra, lento, inesorabile, lievemente comincia il suo ritmo ridondante e semplice, fluente prosegue nel suo cammino, il volume si alza, il risveglio si avvicina, abbasso, mi giro, assumo la posizione fetale della mattina, quando non voglio abbandonare il mio comodo ventre materno, calore di chi mi ha dato la vita, liquido dentro cui mi sveglio ogni mattina, fluido vitale memore del mio passato infante, del presente predecadente, del futuro inconsistente ad esso legato, di uno scorrere temporale inesorabile, di cui prendo crudamente coscienza mentre pulisco il mio ano dopo aver espulso i miei rifiuti nel bagno del ristorante dove lavoro, prima di iniziare il servizio del pranzo.

Dove sono rimasto? Certo… la voglia di sparire improvvisamente, di non cominciare neppure questa orribile ed incerta giornata, il desiderio di non essere, o semplicemente non dover aver parte nello svolgimento della corrida, il triste spettacolo dell’arena in cui bestie e schiavi si scontrano per la propria sopravvivenza, il luogo in cui ogni barlume di civiltà viene a mancare per lasciare posto alla battaglia delle parti avverse, la logica della ragione assoluta, l’assioma dell’infallibilità delle proprie scelte. Squilla dirompente la seconda sveglia, quella dell’insopportabile apparecchio telefonico, maledizione e segnale inconfondibile di una dipendenza dalle necessità altrui inconciliabile con una forma di pensiero formata con una comunicazione diretta e discontinua, ma non basta il suo suono metallico e assordante a farmi desistere, la mia mamma rimane il mio inseparabile nido, la mia protezione prima ed ultima, voglio ancora dormire, godere del calore racchiuso sotto il manto morbido della mia coperta, non importa se sto nella mia puzza notturna, non fa niente se le mie cellule cerebrali stanno soffrendo per la mancanza d’ossigeno della mia stanza, non posso abbandonarmi alla triste realtà. Continuo nella maratona del mio intorpidimento fino a quando non squilla un altro allarme, il messaggio del risveglio passa attraverso il sogno, apparentemente piacevole, che veniva proiettato sul teleschermo della mia mente, non ricordo cosa stavo facendo, che cosa stava accadendo, l’essenza che mi costituiva, la natura umana o meno che mi caratterizzava in questa realtà parallela, sta di fatto che un evento traumatico mi riporta alla luce del mattino. È tardi e devo corre per preparami, non ho tempo di fare colazione, al limite riesco a trangugiare velocemente un succo di frutta, per evitare di svenire al secondo gradino della rampa del quarto piano del mio palazzo. Esco di casa, qui inizia una nuova giornata di vita, o forse non vita.

Inspiegabile il cielo che sovrasta questi miseri eventi quotidiani, impossibile penetrarne le oscure volontà, i futuri capovolgimenti, sembra una mescolanza perfetta tra autunno e primavera, termine ed inizio, morte e rinascita, ambigua situazione che apparentemente sembra volerci dire che gli occhi del mondo intero stanno osservandoci, l’attenzione della terra stessa è puntata sulle nostre miserie nazionali, non sa se essere triste o felice di ciò che sta accadendo, non si capacita di tale instabile situazione ambientale.

La riviera Romagnola si profila al mio orizzonte, la speculazione edilizia del turismo, l’aborto della produzione a tutti i costi di capitale, arricchimento sulle spalle del territorio, inurbamento sfrenato apparentemente calmo e tranquillo, immobile ma in costante evoluzione, in continua crescita, si sviluppa su sé stesso, nutre sé stesso, eleva fino al cielo la sua necessità di sopravvivere, la sua locusta natura vuole a tutti i costi sopravvivere alla naturale decadenza, la favola stravolta della locusta lavoratrice e della formica fondamentalista prosegue il suo corso.

M:"Sei andato a votare?"

P:"No, quando pensi che ci sia andato? Stanotte?"

M:"Mi raccomando, vota bene, Berlusconi ha detto che abolirà il bollo, il prossimo mese devo pagare 450 euro"

Silenzio, disapprovazione, pena, desolazione, infinita pena, compassione.

Il popolo sovrano sta avvalendosi del proprio diritto al voto, sta esprimendosi in merito alla classe politica che lo ha governato, decide di proseguire o meno nel suo sostegno ad un governo uscente depresso, una coalizione divisa, un panorama di tradizioni alterate e ideali stuprati dai burocrati del potere autoinflitto e autoalimentato. Mentre una massa informe di popolazione - retrocessa dal club degli appartenenti alla civiltà “moderna” al rango di non più indipendente e sovrana, di muffa d’Europa, piaga dell’occidente, entità decadente di un evoluzione mai avvenuta - si appropinqua ad usufruire del diritto, zuppo del sangue di chi in esso ha creduto, di decidere se avanzare o morire, di affidarsi alla più marcia espressione popolare populista e demagoga Europea - ma specificamente e solo italiana - all’involuzione senz’anima di idealismi persi durante un lungo percorso di snaturamento politico e civile, o infine, alla peculiarità degli ultimi - minoritari cavalieri - difensori dei pilastri di una cultura popolare nazionale ormai inconsistente, internamente dilaniata dell’illealtà di chi l’ha violata assumendosi incoscientemente la responsabilità di rappresentarla, tradendone le ragioni più profonde, originarie, ideali, civili. Mentre il rito dell’autolesionismo nazionale si mette in moto, mentre tutto questo caos prende consistenza nei volti dei fantasmi, travestiti da vivi, della politica italiana, sto svolgendo le mie mansioni di autosostegno economico, sto lavorando per persone che la pensano in maniera diametralmente opposta da me, che credono di possedere la loro infima verità morale nelle tasche, convinti che questa logica arraffazzonata di idealizzazione del giardino in cui ha dimora la propria casetta, difesa strenua dei valori strumentali e superficialmente dozzinali in cui sostengono di credere, lotta corporativa dell’istituzione in seno alla quale si abbeverano, disprezzo della legalità alla quale è sottoposta la parte più consistente della popolazione, fuga dalle regole per sostenere privilegi illegittimi e spesso in odore di favoritismi quasi mafiosi, sia legittima e non solo politicamente sostenibile ma eticamente imponibile.

Ma l’aspetto che desta e allarma le difese immunitarie del mio senso civico è l’enorme percentuale di aborigeni della democrazia che contemporaneamente a loro crede sia lecito sostenere questo aborto italiano, la possibilità di subire per l’ennesima non legislatura (detta anche mafiatura) il trattamento a retrocedere che ho avuto modo di sperimentare per cinque interminabili anni della mia vita, la gogna di parlare con i miei cugini continentali nella vergogna della mia appartenenza nazionale, lo stupro incivile dei miei diritti e della mia dignità di cittadino ad opera di perfetti incapaci patentati e laureati.

Il rientro è sotto la pioggia ma al mio arrivo le nubi si squarciano e sanguinano la gialla linfa solare, quasi a voler destare lo spirito combattivo del mio animo depresso, struggenti sono i minuti che precedono la decisione definitiva, dilaniante la ricerca di una soluzione possibile, questo sentimento di separazione interna, di inconsistenza di riferimenti, profonda e dolorosa indecisione.

Passo il tempo aspettando un possibile segnale, penso senza sosta al mio presente, il mio essere, il mio sentire, il mio piccolissimo mondo personale sta affrontando il suo ennesimo conflitto intestino, ma la decisione deve arrivare, l’attesa deve terminare, il dovere di esprimersi si deve materialmente configurare e definire fisicamente. Non condivido le considerazioni ottimiste che gli osservatori nazionali fanno rispetto all’attuale situazione, non penso che sia tutto così roseo, ma soprattutto non credo che le scelte fatte siano quelle giuste, non affido i miei sogni e le mie aspirazioni a chi sta tradendo la mia fiducia, a chi per seguire un’ideologia – o più precisamente un potere – calpesta la mia e altrui dignità umana, in quanto tale non negoziabile e neppure minimamente decurtabile, non passibile di opinioni nè si sorta nè di parte.

Anche se apparentemente una via sta delineandosi lungo il mio orizzonte decisionale prendo un andamento pesante lungo il percorso che mi separa dal patibolo del seggio elettorale, la mia scuola elementare, la depositaria dei miei sogni infantili, delle mie prime esperienze e delusioni, laboratorio dei miei primi scontri con la società e con l’istituzione, o chi la rappresenta. Il mio cuore è il depositario della pesantezza con cui ho preso la mia decisione definitiva, della croce precisa e ben definita che ho apposto sul simbolo in cui ho riposto le mie speranze di assoluzione e di parificazione civile, la voglia di assurgere alla classe A dei diritti, vana speranza? Forse. Tuttavia ho almeno la certezza di possedere ancora un anima, di non aver venduto al mercato delle banane la mia dignità e umanità, mi assumo pienamente la responsabilità della decisione presa con la certezza di essere ancora me stesso.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

:-) Ho votato. Che felicità. Vedo che anche tu, dopo tanto ragionare e poltrire, hai scelto. Abbiamo avuto la stessa domenica. :-) Speriamo bene, a prescindere da chi risulterà essere il meno peggio (a furor di popolo). Un bacetto. A presto. Alis

Pat pat ha detto...

Di una cosa sono convinto, a prescindere dalle mie assurde elucubrazioni, nonostante non l'ho votato, sicuramente Veltroni è meglio di Berlusconi.
Sempre meglio la neo DC piuttosto del partito azienda dei mafiosi...
vedremo, sono tutti orecchi

Anonimo ha detto...

Pat, abbiamo avuto una giornata diversa. Ma nemmeno tanto. Fai bene a votare secondo la tua coscienza e non secondo una logica matematica. Anche tu riuscirai ad evadere perchè hai "l'idea". Quella ti farà sempre camminare, rimarrai sempre in movimento.
Questa è l'unica evasione possibile!

Anonimo ha detto...

ecco, hai detto la cosa che penso anche io: desolazione.
ma come fai a votare uno solo perchè ha detto che abolirà il bollo??
se ti dico che gli asini rosa volano allora voti me??
per la miseria ma qualcuno legge i programmi elettorali, conosce un po' la storia del nostro paese e si informa o va a votare perchè Striscia La Notizia ha detto così e cosà???
uff...che DESOLAZIONE.
bacio :))
Bibi

Pat pat ha detto...

@incarcerato
ora mi pongo un altro problema, da cosa evadere in un paese sotto la prigionia dei demagoghi del partito azienda...
mi vengono in brividi a pensare di essere governato per altri cinque anni da questo essere disgustoso.
Evado insieme a te, verso un altro paese, prima che sia troppo tardi per poterlo anche solo pensare.
@bibi
Desolazione profonda e indescrivibile, ora il sentimento ha dilatato il suo raggio d'azione, mi sento già sotto dittatura.
Vorrei avere sotto le mani Veltroni e il suo staff di pezzi di m... e contargliene quattro.

Finazio ha detto...

Lo si è votato per non pagare il bollo, nella speranza di un condono, nella certezza di controlli fiscali molto più soft... Insomma un elettorato di rubagalline.

Anonimo ha detto...

bè...adesso ormai è fatta.
mo' confido nel fatto che, avendo la governabilità, riescano comunque a non combinare pasticci e magari anche a risolvere qualcosa.
del bollo e dell'ici non me ne frega un cazzo, sono palliativi mi sembra ovvio.....non ti faccio pagare 600 euro all'anno ma ti tartasso ben peggio da un'altra parte....tipo carota e bastone....
va bè non voglio farmi prendere dalla tetra sfiducia prima del tempo.
una possibilità per vedere cosa combinano glie la do.
Bibi