martedì 29 gennaio 2008

Tomò guarda chi riscrive…



Un dì di gennaio, di sabato cadde, si passeggiava allegri, io e l’amica cara, per le vie di Faenza. Un po’ di tempo era passato dall’ultimo incontro, certi eventi diventano furtivi quando cominciano rapporti di sudditanza sentimentale per loro natura esiziali, storie di persone che si incontrano, le cui vite vengono stravolte da tale evento, a volte in positivo tante altre in negativo.

Colei alla cui attenzione ambisce il mio spirito ha saputo riempire di ricordi parte della mia esistenza, ha fornito un impulso vitale a giorni incerti, baciato con affetto le ispide guglie dei miei anfratti emotivi di un tempo, colmato di vita e affetto l’Antartide inospitale dei miei sentimenti.

Questa ragazza dal fendente e ceruleo sguardo di ghiaccio, le labbra serrate da ferma e insistente fierezza, il profilo crudele e sprezzante di caparbia tenacia, sotto un involucro d’acciaio è la custode di un universo affettivo immenso, materia incandescente, immensa comprensione.

Le braccia non possono tendere sempre al mondo che ci circonda, le teniamo chiuse per paura che qualcuno si appropri indebitamente di un posto privilegiato in seno alla nostra comprensione. A questo servono le chiusure, gli irrigidimenti, le maschere, ma esiste sempre qualcuno pronto a passarvi sopra, esiste nel mondo almeno una persona in grado di rendere vane tutte le nostre roccaforti, chi senza fatica ha trovato la chiave del nostro forziere e riesce ad aprirne le porte.

Qui partono due sorti differenti ed opposte, tutte e due in relazione alla volontà di chi è riuscito ad entrare nella cassaforte dei nostri sentimenti.

La sua sorte è entrata in collisione con un’indipendenza ostile a chi l’aveva scoperta, le conseguenze si sono manifestate immediatamente nell’appiattimento e nell’abbrutimento del suo intimo modo di essere e pensare.

L’idea terribile e spaventosa di perdere il privilegio di poter rivolgere le mie parole ad una mente fertile ed aperta si mescolava con i ricordi che affioravano dal passato, ricordi che mi riportavano alla città in cui avevo trascorso una parte della mia vita studentesca, dove era nata una prima maturità individuale e un senso collettivo di condivisione con i compagni di banco, di laboratorio, di chiacchiere, di sigarette e di fumo.

Tutto si inseriva in un periodo di ripensamenti densi di vissuto, pochi i rimorsi, tanti i rimpianti, fratellanze e amicizie finite, consumate dal tempo e dagli eventi, rapporti emotivi mai iniziati o finiti precocemente.

Avevo voglia di parlarle di tante cose, di raccontarle tutto quello che mi succedeva in assenza di un suo giudizio od opinione, renderla partecipe almeno in parte della mia vita, ripristinare con buone nuove un legame sempre più flebile, in sofferenza sotto i colpi di macete della brama di possesso di chi la tiene rinchiusa in una splendida prigione di vetro e ghiaccio. Purtroppo erano troppe le cose che si susseguivano sullo storyboard del mio film di fantascienza, troppe cose cercavano di passare dalla stessa stretta fessura, tutte insieme cercavano il rigurgito che le avrebbe fatte uscire contemporaneamente, così furente era la pressione esercitata che l’implosione ne fu la diretta conseguenza. Tutto torna nelle mie tenebre, tutto cade su me stesso…

…Il terzo negozio di cioccolato e dolciumi della città, la terza ondata di profumi di cacao e spezie zuccherati, tanti colori accoglienti che si intrufolano nella mente e si prendono a braccetto con l’idea di gusto che vogliono fomentare. Nell’estro di sensazioni olfattive e gustative si intromette quella uditiva e di disturbo del richiamo elettronico ai bisogni altrui, il gingle che abbiamo scelto per torturarci ogni qualvolta siamo desiderati da necessità non nostre, ma di cui comunque sentiamo il bisogno.

Un numero sconosciuto, un messaggio che a tentoni cerca un appiglio, attraverso il passato, nei miei ricordi, in episodi non dimenticati situati in un angolo non illuminato della memoria, stoccati in attesa di altre esperienze che ne prendessero il posto.

“Ciao sono A… di R… Ti ricordi di me? Volevo solo farti un saluto.”

Chi dimentica eventi e persone del proprio passato perde parte di sé stesso, io sento il bisogno di ogni componente della mia mente e del vissuto che poggia sulle mie spalle, diversamente non sarei io, ossia la conseguente evoluzione di ciò che mi caratterizza come persona in qualcosa di diverso e rinnovato. Perché dovrei dimenticare o rinnegare scelte fatte e compiute? I fatti già avvenuti non si cambiano, le azioni già compiute non si annullano, i ricordi immagazzinati non si cancellano, le emozioni già provate non si dimenticano. L’unica soluzione possibile è la convivenza nello scontro diretto con i propri limiti, già evidente in quella parziale forma di conoscenza di sé chiamata autocoscienza, le azioni compiute e le esperienze vissute mettono solo in risalto la limitatezza che ci caratterizza ma sono indispensabili a darci forma, a farci crescere interiormente per darci nuova forza e coraggio, darci un’arma indispensabile quale l’avvedutezza che, forte delle nostre paure pregresse coscienti e non, proietta il suo scudo protettivo sulle immagini del presente ricordandoci quelle dei tempi passati.

Certo che mi ricordo, come potrei dimenticare? Io non dimentico, metto da parte, sono un grosso contenitore vuoto che assorbe dal mondo esterno tutto ciò che è possibile inglobare, prendo tutto e tengo anche il brutto e il disdicevole, altrimenti come potrebbe apparire bello un fatto od un evento se non in raffronto a ciò che gli è per natura diametralmente opposto? le storie in cui siamo protagonisti insieme a quelle degli altri individui che ci circondano o che abbiamo solo ascoltato si scontrano sempre nel ring dei ricordi, bilanciano il proprio peso e acquistano un diverso valore in relazione con il resto, che nel caos si ricompone in passato e ricordo.

L’evento il cui ricordo ora mi sovviene alla mente risale ad un passato ormai non più recente, incontro consumato, distaccato, allontanato e ripristinato, infine da me definitivamente reciso. Un tram tram di avances e successivi ripensamenti, una tortura fatta di indecisione o ricercata voglia di attenzione, idolatria, narcisista necessità di essere al centro dell’attenzione, voglia egoistica di una teatrale (quindi palese e manifesta) introspezione.

Agli albori della mia infante vita sentimentale veniva subito posto il primo macigno di ipocrisia ed egoismo, l’egocentrico individualismo del self made man che vuole e sa di avere il potere di esercitare il proprio magnetismo sulla mente ancora in formazione di chi la vita (adulta) sta solo iniziando ad affrontarla.

Certo che ricordo, lo faccio per non tornare indietro, per non perdere me stesso, per non tornare sui miei passi, per continuare a guardare avanti senza voltarmi mai neppure per un solo istante, per preservare il presente che ho costruito, per dare un futuro alla strada che faticosamente ho intrapreso ad ogni punto di svolta.

Rendo partecipe l’amica di sempre della strana notizia e magicamente torna quell’afflato che tanto avevo aspettato, l’evento inatteso e indesiderato fungeva ora da collante e ripristinava un’unione che ci aveva visti vicinissimi in quel tempo. Strani eventi, coincidenze, evenienze che si rincorrono in circoli stranamente virtuosi, linee di sorti apparentemente lontane che improvvisamente si ricongiungono e tornano a rincorrersi in un moto circolare, corpi celesti erranti che vengono inevitabilmente catturati da passati e conosciuti magnetismi. Ed io? Che cosa sto facendo io in riva al fiume della vita che scorre ai miei piedi? Lo osservo mentre prosegue la sua lenta corsa nel tempo, ma non posso fare a meno di notare i corpi dei caduti che scorrono immersi nelle sue acque torbide.

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